Interneuroni del cervelletto controllano il consolidamento mnemonico
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 16 settembre
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Fino a tempi recenti, l’unica forma di memoria
associata al cervelletto era quella derivante dall’apprendimento motorio, anche
perché non si riconosceva alla struttura della fossa cranica posteriore un
ruolo nei processi cognitivi. Negli ultimi due decenni gli studi di neuroimaging
funzionale che hanno documentato l’attivazione di reti cerebellari associata ad
attività psichiche si sono moltiplicati, e le prove della partecipazione a
funzioni ritenute prerogativa esclusiva del cervello sono state confermate
anche attraverso le valutazioni comparate della sperimentazione animale.
La nuova concezione della fisiologia del cervelletto
rende anche conto dell’espansione evolutiva parallela e simultanea della neocorteccia
cerebrale e del neocerebello nel corso della filogenesi. Infatti, il cervelletto è stato studiato a lungo come partner
della corteccia cerebrale, della quale ha seguito l’espansione nel corso dell’evoluzione,
acquisendo un volume nella specie umana che non ha uguali nelle altre specie di
primati[1].
La Società
Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia è impegnata fin dalla sua fondazione[2] a promuovere la conoscenza dei risultati della
ricerca sul cervelletto e, presentando e interpretando le nuove acquisizioni, ha
precorso i tempi nel superamento della concezione classica di struttura
esclusivamente dedicata alla regolazione e al controllo posturale e del
movimento. Lo studio dei numerosi processi psichici cui prendono parte i
sistemi neuronici cerebellari ha contribuito al più generale cambiamento di impostazione
e prospettiva della neurofisiologia degli ultimi due decenni.
Nella triade
indicatrice di lesione cerebellare della neurologia classica, ossia nistagmo,
tremore intenzionale e parola scandita, è già implicitamente
inclusa nei ruoli del cervelletto la partecipazione al controllo dell’esecuzione
locutoria; una tale nozione già suggeriva l’intervento dei pattern di
elaborazione cerebellari[3] in funzioni diverse, secondo un criterio di necessità
neurobiologica e non limitato al controllo posturale e motorio del corpo. In
ogni caso, da molti anni è stata provata la partecipazione cerebellare a processi
cognitivi, affettivi ed emozionali, senza che queste nuove
acquisizioni sminuissero il rilievo del ruolo nel controllo posturale, motorio
e dell’equilibrio.
A questo proposito, nella neurofisiologia classica
troviamo esempi sul ruolo del cervelletto in comuni azioni della vita
quotidiana. Ad esempio, in un atto
semplice come allungare il braccio per prendere un volume di grandi dimensioni
dalla mensola di una libreria, il verme cerebellare interviene con un’attività
anticipatoria: i primi muscoli attivati non sono i flessori della spalla,
del braccio o delle dita, ma i flessori plantari della caviglia che consentono
all’avanpiede di puntare in terra e spingere lievemente all’indietro gli arti
inferiori e il tronco nel momento in cui si effettua la prensione del libro. In
tal modo il cervelletto, soprattutto attraverso la specializzazione vermiana, con
un’anticipazione compensatoria evita squilibri posturali e consente il
mantenimento della stazione eretta. Mentre si tiene il libro stretto con la presa
delle dita, la regolazione propriocettiva dei muscoli estensori della colonna
vertebrale corregge in base al peso del libro la taratura ottimale per il
braccio proteso, così da prevenire l’oscillazione in avanti di testa e tronco.
Simultaneamente, il controllo labirintico informa il cervelletto di qualsiasi
spostamento in avanti del capo e innesca l’appropriata risposta antigravitaria
attraverso uno o entrambi i tratti vestibulospinali.
Si capisce intuitivamente l’importanza nella
neurofisiologia propedeutica alla clinica neurologica di questo ruolo del
cervelletto, che è stato studiato e analizzato dettagliatamente a partire da
quadri clinici: il danno patologico o traumatico del verme causa la perdita
della compensazione anticipatoria neuromuscolare del tronco, con la conseguenza
di uno sbilanciamento del corpo nella direzione del gesto di prensione che, nei
casi più gravi, comporta la caduta. Il danno al lobo anteriore del cervelletto,
pur comportando una perdita di attività anticipatoria, consente un compenso attraverso
l’ampliamento della base posturale di stazione, determinando atassia.
L’attualità della ricerca sul cervelletto riguarda
invece i suoi ruoli nei processi cognitivi ed emozionali, e lo scorso anno
abbiamo recensito uno studio che dimostrava che questa struttura dell’encefalo può
rinforzare le memorie emozionali umane.
Kathryn Lynn Carzoli,
Georgios Kogias e colleghi hanno indagato i
cambiamenti dell’eccitabilità intrinseca dei neuroni indotti dall’apprendimento
e, in particolare, i meccanismi legati alla formazione di memorie della paura
nel cervelletto, ottenendo risultati di assoluto interesse.
(Carzoli
K. L., et al., Cerebellar interneurons control fear memory consolidation
via learning-induced HCN plasticity. Cell Reports – Epub ahead of print doi: 10.1016/j.celrep.2023.113057, 2023).
La provenienza degli autori è la seguente: Department of Cell Biology and Anatomy, Louisiana State
University Health Sciences Center, New Orleans, LA (USA); Southeast Louisiana
VA Healthcare System, New Orleans, LA (USA).
Riteniamo di fare cosa gradita al
lettore proponendo un richiamo all’anatomia del cervelletto, che qui si
riprende per la parte relativa alla corteccia da una nostra recensione di tre
anni fa[4] e, per la struttura nucleare, da un altro nostro articolo di due anni or
sono[5].
Il cervelletto è quella parte dell’encefalo che occupa la fossa
cranica posteriore ed è presente in tutti i vertebrati con uno sviluppo
proporzionato a quello del cervello. Si presenta costituito da tre parti: una
struttura mediana di minore dimensione denominata verme cerebellare,
corrispondente al cervelletto primitivo presente anche nei più bassi vertebrati
(paleocerebello), e due espansioni laterali dette emisferi cerebellari.
È situato nella loggia cerebellare delimitata dal tentorio e si sviluppa
sotto il cervello, dietro il ponte, sopra il bulbo. Il suo diametro trasverso
raggiunge un massimo di dieci centimetri, mentre verticalmente supera raramente
i cinque centimetri per un peso complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava
parte del peso del cervello. I solchi del cervelletto consentono di ripartirlo
in tre lobi e numerosi lobuli, accuratamente descritti dagli antichi anatomisti
secondo criteri che non hanno trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.
Il
fascino esercitato sugli antichi morfologi dalla struttura corticale
cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è stato superiore a quello dell’organizzazione
in rami e ramoscelli diretti ai lobuli della sostanza bianca del centro
midollare o tronco, cui diedero il suggestivo nome di albero della vita.
Contrariamente a quanto creduto da alcuni studiosi contemporanei di storia
della medicina, questa denominazione non trae affatto origine dall’erronea attribuzione
al cervelletto di un ruolo vitale nella fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia
morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una
pianta arborea sempreverde delle Cupressaceae che presenta, al posto di
foglie larghe, verdi diramazioni e sotto-diramazioni multiple costituite da
minuscole scagliette foliacee[6]. A differenza del cervello, in cui la
sostanza bianca ha un’enorme espansione indipendente con le sue strutture
interemisferiche e il centro ovale di Vieussens, entrando solo perifericamente nella
costituzione dei giri corticali, nel cervelletto l’aggregato pirenoforico
corticale segue come un rivestimento tutte le diramazioni della sostanza bianca
che, nell’aspetto morfologico macroscopico delle sezioni dell’organo, appare
come un semplice complemento della preponderante struttura grigia.
La corteccia
del cervelletto ha lo spessore di un millimetro o un millimetro e mezzo, e
al taglio rivela due zone di aspetto differente: 1) uno strato esterno o
superficiale di colore grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo
dal colorito tendente al fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato
rugginoso.
L’esame
microscopico della corteccia cerebellare consente di distinguere uno strato
esterno o molecolare, che costituisce circa la metà dell’intera struttura e
presenta abbondanza di fibre e scarsità di cellule, e uno strato interno o
granuloso caratterizzato da numerosissime cellule.
Fra queste
due lamine di tessuto grigio si interpone uno strato intermedio o zona
mediana, sottile ma caratterizzata da una fila di neuroni esclusivi del
cervelletto e dalla morfologia inconfondibile: le cellule di Purkinje.
Le cellule
di Purkinje sono disposte a formare una fila abbastanza regolare, anche se a
tratti si notano lievi irregolarità, perché alcuni di questi neuroni inibitori
GABAergici sono dislocati verso la superficie esterna della corteccia, non in
linea con la maggioranza, tanto da meritarsi il nome di “cellule spostate”, con
il quale erano state descritte da Santiago Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje
sono piriformi, con l’asse maggiore di 50-60 micron e una larghezza non superiore
ai 25-30 micron, e presentano al polo superiore, rivolto verso la superficie
esterna della corteccia, un tronco dendritico di grande calibro che si divide
presto in grosse diramazioni principali, dalle quali originano, con una
morfologia che ricorda un po’ quella dei rami della quercia, diramazioni
secondarie e terziarie, che penetrano nello strato molecolare. L’espansione a
ventaglio si risolve in una “lussureggiante arborizzazione che si può seguire
fino alla superficie piale”[7], secondo la descrizione classica. Sui rami si
possono osservare le numerosissime spine dendritiche, che in questi
neuroni sono state accuratamente studiate nell’ultrastruttura al microscopio elettronico.
È interessante la disposizione della fitta arborizzazione dendritica delle
cellule di Purkinje, che Obersteiner paragonò a una pianta di vivaio fatta
sviluppare intorno a un “sostegno a spalliera”, da cui la denominazione di spalliera
dendritica che si adotta attualmente. Questa struttura è infatti disposta
su un piano ortogonale rispetto a quello principale della lamella della
corteccia del cervelletto, per cui si dice che l’arborizzazione a spalliera “si
espande per traverso alla lamella”[8].
Dal polo
opposto o interno della cellula di Purkinje origina il neurite che diventa
cilindrasse, ossia assone rivestito di mielina[9], presentando la caratteristica di un diametro
inferiore a quello del tronco dendritico, all’opposto di quanto accade per la
maggior parte dei neuroni. Dopo un tratto più o meno breve, l’assone emette rami
collaterali, alcuni dei quali terminano nello strato granuloso mentre altri
risalgono come collaterali retrogradi fino al molecolare dove assumono
decorso orizzontale e terminano circondando con una terminazione anulare il
tronco dendritico della stessa cellula, di un’altra o di numerose altre cellule
di Purkinje, realizzando un controllo inibitorio retrogrado dell’input
che arriva dalle sinapsi formate dalle spine della spalliera dendritica con i
neuriti dei neuroni che compongono la citoarchitettonica corticale. Dopo aver
emesso i collaterali, proseguendo il suo percorso, il neurite entra con la
miriade di altri cilindrassi omologhi nella sostanza midollare, dove
costituisce la connessione diretta ai nuclei centrali del cervelletto, ossia la
via cortico-nucleare cerebellare.
In estrema
sintesi la struttura della corteccia cerebellare può essere schematizzata come
segue.
1)
Lo strato molecolare, esterno, caratterizzato
dalla cellula dei canestri: contiene ramificazioni dendritiche delle cellule
di Purkinje, le fibre rampicanti e i rami orizzontali dei neuriti dei
granuli, che costituiscono la maggioranza delle fibre di questo strato.
2)
Lo strato granuloso, interno, caratterizzato
dal tipo neuronico del granulo e dai caratteristici glomeruli cerebellari
nei quali si incontrano le fibre muscoidi e i dendriti dei granuli. Tutto
lo spessore è attraversato da fibre muscoidi e fibre rampicanti, come
da tutte le altre fibre afferenti, e contiene il corpo delle cellule a
pennacchio, particolari elementi della glia descritti per la prima volta da
Cajal.
3)
Lo strato intermedio delle cellule di Purkinje
attualmente descritto come parte dello strato molecolare, che è stato
considerato in passato l’elemento base del cervelletto. Infatti, alle singole
cellule di Purkinje, che ricevono segnali dalle fibre rampicanti direttamente e
dalle fibre muscoidi indirettamente per interposizione dei granuli, e forniscono
l’unico output dalla corteccia, è stato dato il nome di “cervelletto
istologico”.
La corteccia del cervelletto è la regione dell’encefalo in cui è stata
stabilita con maggiore precisione la correlazione fra anatomia e fisiologia, e l’affascinante
ricerca che ha portato alla definizione della sua architettura cellulare ha
avuto inizio nel 1888 con gli studi realizzati da Santiago Ramòn y Cajal, usando
il metodo dell’impregnazione argentica di Camillo Golgi, ed è proseguita nel
secolo successivo grazie soprattutto alle osservazioni di sir John C. Eccles e collaboratori.
Dalla scuola di Eccles proveniva Rodolfo R. Llinas, che nel 1975 integrò il suo
contributo sperimentale in una sintesi schematica e concettuale resa in una iconografia
ancora oggi adoperata per illustrare la disposizione nelle tre dimensioni dello
spazio degli elementi che formano i circuiti della corteccia cerebellare[10].
Con questi studi classici fu anche definita la natura delle fibre
muscoidi e delle fibre rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono eccitatori,
ma obbediscono a criteri funzionali differenti e sostanzialmente opposti.
Le fibre rampicanti provengono da formazioni distanti, come il nucleo
olivare inferiore, e ciascuna si dirige verso la cellula di Purkinje che
costituisce il suo specifico bersaglio fin dallo sviluppo embrionario e sulla
quale forma anche più di 300 sinapsi: la scarica della fibra rampicante è
estremamente violenta e fa scomparire ogni attività del neurone di Purkinje,
come fu dimostrato già nel 1964 da Eccles, Sasaki e Llinas.
Le fibre muscoidi, al contrario, eccitano numerose cellule di
Purkinje, formando solo poche sinapsi su ciascuna di esse, e le raggiungono
sempre con l’intermediazione dei piccoli interneuroni detti granuli.
Una descrizione anche sintetica dell’organizzazione funzionale della
corteccia del cervelletto richiederebbe uno spazio di dimensioni sproporzionate
in rapporto al testo e all’oggetto dell’articolo, per cui si rimanda alle
trattazioni di neuroanatomia funzionale, corredate da immagini che consentono
la comprensione dei rapporti reciproci fra cellule e dell’organizzazione
spaziale di questi sistemi neuronici[11].
All’interno della struttura del
cervelletto le lamine midollari confluiscono formando una massa di sostanza
bianca centrale che contiene i tipici quattro nuclei pari: dentato, globoso,
emboliforme e nucleo del tetto.
Il nucleo dentato è il più grande
e laterale dei nuclei, e si presenta come una lamina di neuroni irregolarmente
ripiegata, che racchiude una massa di fibre principalmente costituite da assoni
e dendriti dei neuroni dentati; queste cellule sono di media grandezza (20-30
micron). La sua forma ricorda quella di una borsetta di pelle con l’apertura
rivolta in direzione mediale, e corrispondente all’ilo del nucleo che
contribuisce alla costituzione del peduncolo cerebellare superiore.
Il nucleo globoso (o n.
posteriore interposto) è sito medialmente al nucleo emboliforme ed è continuo
con il nucleo del tetto. Come gli assoni del nucleo dentato e dell’emboliforme
le fibre dei suoi neuroni entrano nella costituzione del peduncolo cerebellare
superiore.
Il nucleo emboliforme (o n. anteriore
interposto) è laterale al nucleo globoso e si continua lateralmente con il
nucleo dentato.
Il nucleo del tetto è
localizzato in prossimità della linea mediana, al margine del tetto del quarto
ventricolo. I neuroni di questo nucleo sono prevalentemente di grandi
dimensioni (40-70 micron) e una gran parte dei loro assoni incrocia nella
sostanza bianca della commessura cerebellare[12]. Dopo la loro decussazione, costituiscono il fascicolo uncinato che
passa dorsalmente al peduncolo cerebellare superiore per giungere al nucleo
vestibolare del lato opposto. Le fibre che non incrociano entrano nel nucleo
vestibolare omolaterale; un piccolo contingente ascende verso il peduncolo cerebellare
superiore[13].
La sperimentazione
recente ha fornito dati molecolari a sostegno degli studi che hanno dimostrato
un ruolo del cervelletto nella fisiologia cognitiva, in particolare modulando
il circuito a ricompensa dopaminergico, il linguaggio e il comportamento
sociale.
I nuclei
del cervelletto possono essere definiti sub-strutture che trasferiscono
informazioni elaborate nel cervelletto da questa sede ad altri territori dell’encefalo.
Un elemento caratteristico della specie umana è il notevole sviluppo della
connessione di questi aggregati grigi con la corteccia cerebrale del lobo
frontale[14].
Ritorniamo,
ora, allo studio qui recensito.
La plasticità sinaptica è considerata la base
cellulare della memoria e dell’apprendimento, mentre le modificazioni dell’eccitabilità
intrinseca dei neuroni possono amplificare il segnale in uscita e, conseguentemente,
incidere sul comportamento. Ma i meccanismi sottostanti i cambiamenti indotti
dall’apprendimento dell’eccitabilità intrinseca durante la formazione della
memoria sono ancora poco conosciuti. Kathryn Lynn Carzoli
e colleghi hanno indagato questi meccanismi nel cervelletto. In particolare,
hanno rilevato che il silenziamento virtualmente completo degli interneuroni
dello strato molecolare determinava l’abolizione totale della memoria
della paura, rivelando così il ruolo critico di queste cellule nervose
inibitorie GABAergiche nel processo di consolidamento della memoria.
Il paradigma del condizionamento alla paura produce
una perdurante riduzione nelle cellule nervose inibitorie dello strato
molecolare cerebellare dei canali HCN, attivati da iperpolarizzazione e
regolati da nucleotidi ciclici. Questo cambiamento accresce l’eccitabilità
intrinseca di membrana e accentua la risposta a stimoli sinaptici. La
perdita di HCN è indotta da una riduzione dei livelli di endocannabinoidi (anandamide,
2-AG), attraverso una segnalazione cGMP alterata. Per contro, un aumento del
rilascio di endocannabinoidi nel cervelletto durante il consolidamento della
memoria abolisce la plasticità dei canali HCN.
Gli esiti delle osservazioni sperimentali mostrano
che l’attività degli interneuroni guida la formazione della memoria associativa
della paura attraverso un aumento dell’eccitabilità intrinseca specifica
per l’apprendimento, e questo processo richiede la perdita della segnalazione
endocannabinoidi-HCN.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-16 settembre 2023
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e culturale non-profit.
[1] Cfr. Note e Notizie 15-10-22 Il cervelletto nella memoria emozionale.
[2] In realtà, come si evince dall’intervista
del 2003 al nostro presidente, i soci più anziani erano al corrente da decenni
delle nuove acquisizioni sul cervelletto. Scorrendo l’elenco delle “Note e
Notizie” dall’inizio agli anni recenti, si trovano decine di interessanti
recensioni di studi su nuovi ruoli neurofunzionali del cervelletto.
[3] I neurofisiologi di alcuni
decenni fa parlavano di “circuiti stampati” del cervelletto, adottando un’analogia
elettronica per sottolineare l’organizzazione funzionale stereotipata e
ripetitiva differente da quella del cervello.
[4] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia
del cervelletto umano è sorprendente.
[5] Note e Notizie 23-01-21 Origine
nel cervelletto delle connessioni cognitive.
[6] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato
per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone, Alaska
e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor vitae; come vuole la legge linguistica del
“conservatorismo della periferia”, in America si è mantenuta la forma latina abbandonata
in Europa ed è ancora chiamata arborvitae. L’origine
della denominazione della sostanza bianca cerebellare è riportata nel Trattato
di Anatomia Umana di Testut e Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974
e seguenti ristampe), nel quale la translitterazione dal greco è resa con thuya.
[7] Testut e Latarjet, op. cit., vol.
III, p. 242.
[8] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.
[9] Ricordiamo che fu Purkinje, lo
scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per
denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e
distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.
[10] Llinas R. R., La corteccia del
cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello –
organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), pp. 120-131, Le
Scienze Editore, Milano 1978.
[11] Note e Notizie 26-09-20 La
corteccia del cervelletto umano è sorprendente.
[12] È interessante notare che non si
tratta di fibre commissurali come quelle del cervello, dove il corpo calloso,
ad esempio, connette punti omotopici dei due emisferi. Anche se si chiamano
commissurali, le fibre del cervelletto semplicemente attraversano la linea
mediana, ma hanno una diversa identità morfo-funzionale.
[13] Note e Notizie 23-01-21 Origine
nel cervelletto delle connessioni cognitive.
[14] Questo richiamo sintetico all’anatomia
cerebellare si trova anche in Note e Notizie
15-10-22 Il cervelletto nella memoria emozionale, in cui si recensisce un interessante studio di Matthias Fastenrath e colleghi.